Back to the mother (cronache da una caccia scout)

Venerdì, 24 novembre 2006    by Luposelvatico (vai al suo blog)


Capita che una delle cose belle della vita sia avere entrambi i figli nei boy scout.
E’ molto facile lasciarsi andare a commenti ironici sul tema, usando lo stesso sarcasmo con cui George Bernard Shaw seppellì l’iniziativa di Baden Powell.
Possono far ridere le divise che scimmiottano sgradevolmente quelle militari, le patacchine cucite sulle maniche e gli ossi appesi al fazzoletto, la “promessa” densa di retorica, la divisione in branchi e mute per la curiosa intersezione tra lo scoutismo e “il libro della giungla” di Kipling (che condivise con Baden Powell una lunga amicizia), le tende piantate lungo i fiumi, i bivacchi notturni attorno ai fuochi.
Però, appena si è finito di ridere, è doveroso entrarci dentro, lo scoutismo.
Magari partendo dalle opportunità di aggregazione fornite oggi agli adolescenti.
Se non consideriamo l’autismo passivo da playstation o da tv (che può essere anche praticato per ore da composite moltitudini di ragazzini che stanno vicini senza neppure guardarsi), al giorno d’oggi ci sono le famose “attività extrascolastiche”: lo sport (individuale o collettivo), la musica (idem).
Tutte ottime cose, anche utili per condividere emozioni con altri coetanei: si può suonare insieme, si può condividere lo spirito di squadra, Ci si diverte, si fatica, si raggiungono risultati, si condividono gioie e dolori.
Ma con un piccolo difetto: al centro di quelle attività c’è l’obiettivo delle stesse, non la persona che le compie. Se non sai giocare a calcio prima o poi smetterai, se sei negato per la musica prima o poi appenderai la chitarra al chiodo.
Non sono luoghi in cui vai bene per quel che sei, ma solo in funzione del livello di “adesione” allo scopo stesso dell’attività.
L’oratorio continua ad essere ancora oggi, in fondo, l’unico posto dove uno può andare ed inventarsi la giornata. O perderla. Decidere di annoiarsi, di giocare a calcio o a calcetto, parlare con qualcuno, seguire le pensose elucubrazioni di un prete.
Io sono ateo, ed ho abbandonato l’oratorio molto presto (anche con qualche spinta dall’interno, diciamo la verità, a causa della mia “non adesione” ad un modello che non condividevo): ma devo sottolineare l’importanza di quel luogo, finchè l’ho frequentato, nella mia giovinezza.
Nelle case del popolo o nei circoli Arci ho ritrovato poi qualcosa di simile, ma non completamente. Eravamo già persone che avevano scelto, persone tutte uguali: mentre l’oratorio comunque conteneva tutto il mondo del quartiere, e ne sintetizzava la complessità.
E poi ci sono gli scout. Cattolici o laici (i secondi in nettissima minoranza: il gruppo dove vanno i miei figli è uno di questi), sono sostanzialmente gruppi di volenterosi che tentano di formare “buoni cittadini” tra gli 8 e i 19 anni “plasmandone le coscienze”.
I capi sono ragazzi tra i 18 e i 20 anni, e sono ragazzi assai strani per le logiche di oggi.
Gente che passa buona parte del proprio tempo ad applicare un progetto educativo nei confronti dei tuoi figli (mediandoli con quelli applicati in famiglia ed a scuola) solo perchè ci crede. Ci crede a fondo, anche se in modo estremamente laico ed aperto.
Oddio, si, la parola giusta c’è, pronunciamola senza pudore: VALORI.
Li dentro si insegnano dei valori. Che sono quelli “buoni e tradizionali”: il rispetto dell’altro “chiunque esso sia”, la solidarietà tra le persone. Ma non in teoria, che sarebbe stupido, un po’ noioso ed abbastanza impalpabile.
No, in pratica.
Ti ficcano in una situazione critica qualsiasi. Può essere un gioco, ma anche una notte nel bosco, con due corde ed un telo.
Si è in un piccolo gruppo, in cui ognuno deve mettersi in gioco: tirar fuori quello che ha, intelligenza, intuizione, creatività, abilità manuale, capacità di persuasione. Per cavarsela.
Senza risorse tecnologiche, che diventano inutili e superflue, ma solo con le risorse che offre il luogo, il territorio in cui si sta passando. Il legno, l’acqua, la terra, la pietra e l’intelligenza del gruppo sono gli elementi con cui cavarsela.
Accendersi il fuoco da soli? Immagino che le risate di molti si facciano grasse: chi se ne frega, è una stupidaggine, a che serve mai, quando hai tutto il mondo a disposizione racchiuso in un supermarket.
Appunto. Avendo tutto, a poco a poco non sai più chi sei, cosa sei, cosa sei in grado di fare. Diventi solo uno strumento per acquistare merci, che in parte usi ma – nella maggior parte dei casi) usano te. Sei un tizio o una tizia che non usa più il cervello se non per fare quel poco che ti chiedono al lavoro e nello studio: tutto il resto è prefabbricato, già pronto, già usabile per soddisfare le esigenze che hai e quelle che ti faranno venire. Non pensare più, non ce n’è bisogno; tutto quel che devi fare è desiderare, e comprare.

Ecco, torniamo al fuoco da accendersi da soli. Negli scout lo devi fare, se vuoi mangiare (le scatolette lasciale a casa, vanno bene per il tuo gatto, please): la carne e le verdure ci sono, perbacco, son solo da cuocere.
Anche se quel che ti è richiesto è assolutamente alla tua portata, scopri presto che non puoi essere passivo: devi ragionare e scegliere. Devi farti anche gli spiedini, le padelle, i supporti, e tutto quello che hai è un coltellino ed un bosco davanti a te. Facile. Inizi a tagliare un po’ di rami, li metti da parte, non è che ci voglia tutta ‘sta scienza, no?.
Già, dopo il primo uso scoprirai che per lo spiedino ci vuole un ramo abbastanza lungo, verde e che non tutte le piante vanno bene.
Lo scoprirai quando il salsicciotto sarà caduto nella brace, perchè dopo che ti sei scottato le dita perchè era troppo corto, il tuo spiedino di sambuco prenderà inesorabilmente fuoco.
Mangerai il salsicciotto annerito, ma sarà appetitoso lo stesso ed avrai imparato una piccola lezione, che non è scritta in cartellini sugli scaffali dei supermercati.
Anzi: più d’una. Tra cui quella che la fame batte sempre la schizzinosità per almeno due a zero.
E tutto quel che a casa allontanavi con un gesto annoiato della mano durante il pranzo, spesso sulla base di considerazioni meramente estetiche, assume d’improvviso un nuovo, appassionante sapore.
Una delle cose che più impressionano i genitori degli scout è questa improvvisa capacità di mangiare quel che c’è, dimenticando in un solo weekend fobie secolari.
Poi impari a fare cose stupendamente inutili nella vita normale, ma straordinariamente belle nella loro capacità di rivelare che cosa hai dentro, quali talenti nascosti tu possa – al bisogno – mettere al servizio di questo mondo.
Puoi costruire ponti tibetani per attraversare gole e torrenti di montagna.
Puoi disegnare il simbolo della pattuglia o comporre una nuova canzone.
Puoi far ridere con una battuta, puoi inventare una scenetta, puoi stupire intagliando il legno, puoi riscaldare accendendo il fuoco, puoi riparare dalla pioggia costruendo un rifugio con un telo e due rami.
Puoi parlare o stare zitto, puoi usare le mani o lo sguardo e dare una mano: puoi fare quello che vuoi, purchè serva.
E tutto questo non lo fai per te solo, per emergere, per vincere, ma per contribuire al gruppo, per rinsaldare l’amicizia, per appianare gli attriti, per rinforzare l’equilibrio di cui si ha bisogno per andare avanti, cavarsela, superare le avversità.
Non si è più soli, quando si vivono esperienze così.
Non ditemi che non è bellissimo, non ditemi che non ne abbiamo bisogno.

Pubblicato da luposelvatico

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